Tuesday, July 6, 2010

Howling in the Fog - "Drained from Suicidal Thoughts" (2010)


Attenzione per i lettori: non so cosa mi è preso ma non ho controllato la mia mano, e quindi...'sta recensione supera di gran lunga la rece di 8 pagine che ho fatto sui devastanti e notevoli Malignant Defecation! Sì, perchè adesso dovreste sorbirvi un articolo di addirittura 11 pagine!!!! Son proprio un matto! UN MATTO!

1. INTRODUZIONE.

La sapete una cosa? Per uno strano caso della vita, quasi tutte le realtà di black depressivo che ho contattato per “Timpani Allo Spiedo” hanno rifiutato bellamente, senza degnarmi neanche di una risposta (suppongo che questo sia il compenso loro dato alla mia attenzione), la propria partecipazione a tale esperienza, ormai non più nuova. Ma per quale motivo i blackettoni depressivi sono così restii nei miei confronti? Forse è una domanda banale e quasi retorica, in quanto la risposta potrebbe essere insita nella stessa natura ultra-nichilista e misantropica del genere suddetto, natura che di conseguenza rifiuta ogni sorta d’aiuto, quest’ultimo inteso come indirizzato verso la gloria, periodo temporaneo che dal punto di vista filosofico-esistenzialista è solo un punto insignificante dell’esistenza, piena com’è di dolori e battaglie infinite. Ma probabilmente mi sto facendo soltanto un sacco di masturbazioni mentali inutili, però tra tutti questi nerissimi metallari ce n’è uno che sembra partorire un pezzo proprio ogni giorno che vive, uno dei pochi che tra l’altro mi invia volontariamente i suoi ultimi pargoli senza che io gli chieda qualcosa a tal proposito, e quindi già merita pieno rispetto per questo. E chi è? Vi ricordate per caso di quel progetto il cui nome è stato preso da una canzone di Xasthur, cioè “Consummed By a Dark Paranoia”, ed il cui primissimo e finora unico disco si è beccato da me come voto un interessante 75? Bene, Dark Paranoia è tornato ad infettarci di nuovo i nostri cari timpani…o meglio, continua l’opera il suo malato creatore Der Antikrist Seelen Mord, il quale molto recentemente ha pubblicato un nuovo parto, stavolta con l’evocativo e disperato nome di Howling in the Fog, tirando così fuori il demo “Drained from Suicidal Thoughts” che fin da subito mi ha favorevolmente ben impressionato, anche se prossimamente farò osservare qualcosa che si poteva un po’ evitare.

2. PRESENTAZIONE DEMO.

Il disco è stato pubblicato durante il mese di Marzo di quest’anno presso l’ucraina Depressive Illusions Records, e si può considerare come un vero e proprio assaggio dell’album che uscirà fra qualche mese e di cui è stata preparata già una possibile scaletta. Il bello è che è un assaggio piuttosto grande, in quanto di pezzi se ne possono sentire ben 4 + intro. Il tutto viene concentrato in una durata complessiva di poco meno di mezz’ora ricco di sostanza e di potenzialità tremendamente notevoli. Solo che, ritornando al “qualcosa” di qualche riga fa, c’è un particolare degno di nota: sostanzialmente la musica di Howling in the Fog non mi sembra si discosti poi così tanto da quella di Dark Paranoia, e se non sbaglio le differenze tra i due progetti sono minime ed anche non esattamente musicali. Infatti, prima di tutto, non cambiano le tematiche, diversamente dalla lingua adottata, che stavolta è completamente anglofona, abbandonando quindi la nostra e pure le tentazioni latine dei titoli delle canzoni; contrariamente a Dark Paranoia, qui non vi sono né le tastiere né tantomeno le parti ambient, che nel primo riuscivano secondo me a dare ulteriormente a tutto l’insieme un’atmosfera maledetta e quasi misteriosa (ma ciò non vuol dire che il nuovo risultato non mi piaccia, anzi), eppure qua e là parti non-metal ci sono lo stesso; inoltre, viene utilizzata sì sempre la drum-machine, ma nei tempi veloci ho ravvisato una diversa andatura ritmica, che sinceramente la considero perfetta per il genere proposto. Ecco, queste sono a mio avviso le differenze essenziali che contraddistinguono i due progetti del nostro, per il resto si tratta di un modo quasi identico di intendere il black depressivo, uno stile molto lento e disturbante che non disdegna delle improvvise (e dolorose) accelerazioni, perfezionando allo stesso tempo alcune caratteristiche già espresse nell’altra creatura.

Per quanto riguarda invece la produzione del demo, bisogna dire che essa mi è risultata ben più sporca e frastornante di quella del primo disco a nome Dark Paranoia. Infatti, in pratica qua è tutto piacevolmente bello marcio in pieno stile black metal vecchia scuola, quindi i metallari moderni è meglio che cambino recensione, così da non gridare ai 4 venti il proprio scandalo. Inoltre, se tale caratteristica viene unita ad una produzione dalle frequenze altissime ed assordanti, allora lo spavento per loro si potrebbe terribilmente triplicare. Der Antikrist Seelen Mord secondo me facendo questa scelta ci ha azzeccato completamente, in quanto, coerentemente con le tematiche e la musica proposte, ha mischiato in un unico calderone il marciume stesso della vita, e la follia e la disperazione del “avente vita”, creando in tal modo un effetto-manicomio che prende letteralmente l’ascoltatore, caricandolo così di un enorme vortice di freddezza che non vuole più saperne di uscire dalla sua mente bombardata continuamente dal dolore incessante della vita (che belle parole ragazzi!). A mio parere, concorre a quest’atmosfera delirante ed inumana anche il buon bilanciamento fra i vari strumenti, i quali si sentono tutti paradossalmente piuttosto bene, seppur la cassa della batteria io non la riesco a sentire sempre a meraviglia (almeno nelle parti veloci), anzi, ma, come ormai classico delle produzioni di Der Antikrist Seelen Mord, devo da subito fare un plauso al basso che, con il suo spesso chiaro pulsare greve dona una pesantezza monolitica in più a tutto il disperato ed immane olocausto proposto.

3. L’”INTRO”.

E quest’ultimo l’ho ravvisato subito, in un modo che definire soltanto come brutale mi pare un eufemismo a dir poco imbarazzante, nella stessa intro. Ma perché? Non è solo per l’iniziale campana a morto, introduzione terribilmente metallica e “sabbathiana”, ma è anche per il suo suono fastidiosissimo (in positivo) e soprattutto per l’uso che se ne fa del suddetto strumento. Circa nei primi 50 secondi si sentono a dir la verità ben 3 tipi di campane, tutte con un suono differente, e la cosa curiosa è che si ripetono in sequenza per un numero di volte sempre e comunque variabile, anche se non in maniera progressiva. Infatti, la prima scocca il suo colpo terrificante, lentamente ma non troppo, per 4 volte, mentre la seconda per una in meno, e dando invece un apparente colpo di grazia con una campana che distrugge i padiglioni auricolari per una decina di volte, eliminando con gradualità il suo suono inquietante. Inquietante anche perché tutte le campane hanno un’eco spaventosa e frastornante, come se esse fossero state registrate troppo vicino, creando in tal modo un gracchiante rimbombo, fastidioso come l’insensatezza dell’esistere ed il suo lento ed inesorabile disfacimento. Sembra inoltre che esse fossero state suonate da un prete reso pazzo dalle illusioni e dalle flebili astruse certezze della propria religione, e che alla fine, assordato dai rumori da lui stesso prodotti, pare essersi ipnotizzato irrecuperabilmente, suonando ora la stessa campana, concludendo il proprio delirio con un’impiccagione surreale ed ondeggiante. Un delirio incapace anche di mantenere un ritmo costante che unisca le varie campane, un’incapacità che con la terza viene accentuata moltissimo, perché inizialmente quest’ultima è veloce, ma tra il secondo ed il terzo colpo c’è una pausa piuttosto lunga, procedendo così il proprio martirio in modo un pochino meno sostenuto. Eppure, durante tale massacro si sente un’altra cosa, un suono non ben identificato, il quale curiosamente pare quasi dare il tempo alle stesse campane e ciò succede ogniqualvolta che si fa più forte e presente. Il suo è un suono particolare, tra il fruscìo e l’onda, quasi a rappresentare la ricerca di un senso della vita tra un cumulo enorme di rifiuti (il fruscìo di un cespuglio) persi in un universo che avvolge incessantemente di dolore l’individuo, portandosi via lentamente ogni suo pezzo (l’onda), un suono che di conseguenza simboleggia probabilmente un flebile ed affannoso respiro, che viene completamente eliminato (guarda caso) nei tocchi assidui e terribili dell’ultima campana. Ma pure i successivi momenti dell’intro non scherzano per niente in fatto di atmosfere opprimenti, benché forse in maniera più implicita. Infatti, passato tutto lo sterminio delle campane, si fanno avanti timidamente ma con molta determinazione degli effetti d’atmosfera, ossia se non erro delle vere e proprie tastiere. Sembra quasi la quiete prima della tempesta, come se il prete, ormai mortO, avesse trovato la pace. Le tastiere non mi paiono né “cattivone” né minacciose, ma inizialmente vanno e vengono, sono sfuggenti, come spaziali, lo spettacolo silenzioso ed infinito delle stelle. Però qui, realmente non c’è nulla di sognante o positivo. Le note cominciano or ora a concretizzarsi veramente, con molta lentezza, iniziando a navigare nella coltre misera del disfacimento, del ciclo infinito della morte. Ecco le stelle cadere una ad una, le tastiere alle volte si fanno dolorosamente acute, in altre occasioni addirittura, come dire, psichedeliche. Inesorabilmente si fanno più forti finchè riescono ad avvolgere finalmente l’ascoltatore attraverso un climax dai toni rassegnati ed ineluttabili. Ma dopo qualcosa come poco più di 2 minuti, un effetto “risucchiante”, da vero e proprio buco nero, prende sopravvento su tutto, proclamando la fine di ogni cosa, andando via lentamente proprio come ha fatto pochi momenti prima la campana, auto-divorandosi. Dopodichè, la musica, ultimo baluardo e rappresentazione definitiva del cosmo tutto, la completa estasi del suicidio di massa (wow, che belle visioni!)

4. ANALISI STRUMENTI.

Come molti aspetti del suono proposto in Howling in the Fog, anche la voce viene usata molto similmente a come si sente in Dark Paranoia, però forse in un modo leggermente più folle. Infatti, i vocalizzi sono sempre delle urla stupendamente espressive e tremendamente classiche del genere, su cui è stato innestato ancora una volta un riverbero notevole, completamente convincente pure perché riesce secondo me a valorizzare ulteriormente l’atmosfera malsana ed inumana, quasi a voler simboleggiare il desiderio di far sentire dappertutto il proprio tormento ergendosi sulla massa indistinta e silenziosa. Ma se non sbaglio vi è in aggiunta un suono decisamente più profondo e devastante, e questo perché le urla, rispetto al resto degli strumenti, sono state bilanciate in maniera fragorosa ed altina, seppur senza esagerare troppo, ponendo così l’accento sull’essere umano, creatura consapevole della propria condizione. Se ciò non bastasse, il nostro, su “Drained from Suicidal Thoughts” e “Last Days”, ha infilato nel discorso anche un effetto che definirei avvolgente, in modo da bombardare maggiormente l’ascoltatore imprigionandolo in una morsa dove la stessa voce vomita, fredda e senza pietà, i proprio anatemi su entrambe le casse dello stereo (o delle cuffie, dipende dai casi), e naturalmente ad un volume pericolosamente identico. Inoltre, c’è una novità per me piuttosto interessante: nelle stesse canzoni citate poco fa l’effetto di cui sopra diventa alle volte una pura e cruda sovraincisione, la quale curiosamente viene sempre utilizzata, con una puntualità e quindi un’intensità da far spavento, durante le accelerazioni, che riescono a diventare ancor più rabbiose e “vive” grazie anche all’innesto di grugniti a mio parere molto azzeccati visto che penso diano a tutto l’insieme una certa “positività”, come se facessero allontanare per un po’ l’onta della minacciosa rassegnazione che prima o poi, nell’essenza di tale progetto, ritorna sempre. Credo che il nostro dovrebbe lavorare in futuro proprio sui grugniti, non solo per la considerazione sopraccitata ma anche per il fatto che sono un aspetto piuttosto originale per quanto riguarda il black depressivo. In altri momenti invece (ossia, solo nella pausa psichedelica di “Drained from Suicidal Thoughts”), si fa vivo il disgusto, tra l’altro senza urlare veramente, e qua la mente mi ha rimandato (più vagamente però) ai vocalizzi rauchi e “schifosi” (senza riverbero) dei folli Vlad Tepes, duo glorioso delle leggendarie Legion Noirès francesi, mentre nell’ultima “Last Days” si fanno vivi dei minacciosi sussurrii. Un plauso lo faccio anche per le ottime linee vocali, dato che con la loro andatura lenta eppur non poco isterica regalano all’ascoltatore un alone di tormento che in questo genere è sempre ben accetto, come uno spettro che si aggira sofferente e senza forze nel proprio castello ricco di burrascosi e terrificanti ricordi.

Pure le chitarre si pongono secondo me su un livello qualitativo decisamente buono ed abbastanza personale, seppur il fantasma di Dark Paranoia sia sempre presente anche se stavolta ho ravvisato un numero leggermente maggiore di errori tra cui uno piuttosto importante, ma di tutto ciò ne parlerò più diffusamente fra poco (attenzione: non sto dicendo che Der Antikrist Seelen Mord tecnicamente non se la cavi, anzi).
Prima di tutto, qui il nostro presenta come al solito una buona varietà di fondo che permette alle chitarre, prescindendo dall’ottima cover degli Sterbend, di passare dalle anche strutturalmente parlando semplicissime pennellate di “Forget My Life” alle litanie disturbanti e non poco contorte di “Drained from Suicidal Thoughts”, oppure dagli arpeggi dissonanti ed alle volte dolorosamente squillanti, e conditi anche da una complessità strutturale interessante, di “Last Days” alle melodie disperate della già citata “Forget My Life”, le quali si fanno presenti nello stacco che precede l’accelerazione del pezzo. Proprio per quanto riguarda le melodie, il loro ruolo, almeno trattando i brani inediti del progetto, paiono decisamente meno prese in considerazione, preferendo altresì un approccio in un certo senso più caotico e senza pietà, visto che adesso i riffs in non poche occasioni sono costruiti praticamente in modo malato e, come già osservato, tremendamente dissonante. Cosa che però non succede completamente nei tempi veloci, in cui invece il discorso diventa decisamente più classico e poco cervellotico (termine comunque da prendere sempre con le pinze in questo caso), come se questi ultimi rappresentassero la voglia di riscatto dell’individuo, la sua rabbia, che può controllare effettivamente lui stesso, mentre i tempi lenti mi paiono simboleggiare in tale sede l’assurdità e l’incomprensibilità dell’esistenza e della montagna di eventi spesso non voluti e sgradevoli (ovviamente mi baso sempre sui motivi delle chitarre). Ma il tutto si complica un pochino di più se si pensa che anche qui il giovane Der Antikrist Seelen Mord (18 anni di talento ragazzi!) ha dato una buona importanza alla chitarra solista, senza cui probabilmente secondo me la musica di Howling in the Fog perderebbe un bel po’ della propria carica nichilista, anche se curiosamente il suo compito è stato se non sbaglio leggermente ridimensionato e semplificato, ergo stavolta non ho notato dietro il suo lavoro lo spettro dei Forgotten Tomb, maestri in tal senso. Semplificazione che ovviamente non significa necessariamente meno impatto, anzi, il nostro mi sembra invece molto cresciuto con il loro utilizzo, anche dal punto di vista strategico, aspetto del progetto che considero veramente pazzesco e notevole, curato in ogni minimo dettaglio. Uno degli esempi che definirei tra i più azzeccati dell’intero demo è per me sicuramente “Forget My Life”, in cui inizialmente, come introduzione, c’è un arpeggio molto lineare ma minaccioso, il quale risulta accompagnato dalle pennellate dilatate della chitarra ritmica, e che tra l’altro farà nascere il primo tipo di riff che ho citato, mentre successivamente si fa presente all’appello una solista dai tratti sonnolenti e quasi ipnotizzati, solo che la sua prima apparizione è non poco seppellita dal resto degli strumenti, cosa forse voluta e di cui parlerò più diffusamente tra qualche pagina (eh sì, come solito si dovrà aspettare un po’ eheheh!). In certe occasioni invece, la solista funge a parer mio da perfetto complemento in grado di valorizzare ancor di più l’intensità proposta. In parole povere, in alcune volte in cui si fa viva essa spara “semplicemente” (un termine alquanto imbarazzante da usare per un progetto del genere) lo stesso riff della sua compagna ovviamente utilizzando le note più alte e quindi acute, come in “Drained from Suicidal Thoughts” (dove tra l’altro, in ogni mezza battuta la prima modifica leggermente il discorso dell’altra rendendolo così un pochino più isterico e dinamico del solito) e “Last Days”. Quello che mi stupisce è però il fatto che il nostro sappia secondo me veramente in quale punto aggiungere la nuova entrata ed in che modo. L’ascoltatore viene così assaltato totalmente, dato che, prima di infilare nella musica la chitarra solista, viene fatta caricare a più non posso la tensione, per poi dare la vera e propria botta, spesso compensata ulteriormente dalla stessa voce, che in Howling in the Fog ha un’importanza oserei dire vitale, forse più che nel progetto-madre di Dark Paranoia. Ma naturalmente l’argomento chitarre non finisce qui, visto che non ho ancora scritto niente a proposito delle parti non-metal che finora ho semplicemente accennato nella presentazione del demo. Sì, perché anche qui Der Antikrist Seelen Mord ha voluto abbellire il tutto utilizzando talvolta la chitarra acustica. Gli esempi da citare sono “soltanto” due, ossia nelle stesse canzoni sopraccitate. Nella prima, l’acustica viene manipolata, in una maniera che definirei quasi psichedelica ed annebbiata, un po’ come se si volesse rappresentare la completa distorsione della dimensione del reale con quella del sogno, o meglio, dell’incubo, dove tutto è nebbia, totale incertezza, malsana imprevedibilità. Nel secondo caso (cioè “Last Days”), lo strumento viene utilizzato minacciosamente per dei veri e propri arpeggi, offerti attraverso un’andatura più veloce che nella lenta ipnosi di “Drained from Suicidal Thoughts”, benché non manchino interventi più, come dire, “ad intermittenza”, dilatando quindi alle volte le note suonate, e tra l’altro, quasi nei momenti finali del pezzo, l’acustica viene sottoposta ad un effetto d’eco, brillante ed a mio avviso per niente fuoriluogo, utile ad aumentare la tensione stessa del pezzo, volendo simboleggiare in tal modo probabilmente il progressivo abbandono della vita da parte dell’individuo (non a caso, è in quest’occasione che si fanno vivi i già citati interventi “ad intermittenza”). Da notare fra l’altro l’importanza della chitarra per quanto concerne sia l’introduzione delle canzoni che, seppur in misura leggermente minore, negli stacchi. Infatti, è proprio lo strumento di cui sopra che in pratica fa partire ogni brano, persino la stessa cover, mentre negli stacchi il suo ruolo risulta un po’ meno estremizzato e non solo perché da questo punto di vista non è l’unico ad avere voce in capitolo, pur essendo quasi dominante, ma anche perché spesso un proprio intervento in solitario viene accompagnato, in maniera secca e rapida, dal basso e dalla batteria, come succede in “Forget My Life” e “Drained from Suicidal Thoughts” (a dire il vero in un modo molto simile, cosa che consiglio di rivedere per non cadere magari nella brutta sensazione del già sentito). Curioso poi il fatto che gli stacchi di chitarra sono piuttosto lunghi, ma non complessi, agonizzanti oserei dire, come a voler rappresentare il lento ed affannoso disfacimento di una vita in cui l’insieme del corpo procede stancamente, mentre il cuore va a brevissimi e saettanti sussulti. Unico caso anomalo sono gli stacchi bruschi, rapidi e dolorosi di “Last Days”, a mio avviso completamente azzeccati data la follia completa di quest’ultimo episodio. Due ultime osservazioni: ho ravvisato dei curiosi legami tra il demo di Howling in the Fog e quello di Dark Paranoia, dato che in entrambi le melodie sono presenti incredibilmente nel secondo e nel quarto brano, mentre la chitarra solista pare avere un ruolo più autonomo, rispetto alla ritmica, sempre nella seconda canzone (segnalo infatti – quasi dimenticavo – che durante l’accelerazione c’è un’altra ascia, dai toni non esattamente disperati in confronto alla sua compagna, ma comunque sempre bella melodica, piuttosto dinamica e secondo me forse addirittura combattuta fra le tentazioni suicide ed una sorta di attaccamento alla vita, di rifiuto del famoso gesto scellerato).
Per quanto riguarda invece gli errori di esecuzione finora solo accennati, devo ovviamente prima dire che, essendo io un patito della vecchia scuola, non li disprezzo, anche perché servono a non nascondersi dietro l’utilizzo, ormai sempre più frequente, del computer, che rende spesso la musica assurdamente perfetta sotto il punto di vista tecnico. Ed in questo demo, gli errori si fanno presenti specialmente in “Drained from Suicidal Thoughts” e poi ne ho ravvisato uno anche in “Last Days”. In tali canzoni, si può sentire per esempio una chitarra fare una piacevole “stecca” su una nota, oppure accorgersi che il plettro “scivoli” sulla corda durante il tremolo picking, così da sporcarlo ulteriormente (come nella seconda), od ancora (e qua si poteva forse rivedere qualcosa proprio perché è un errore più ritmico che tecnico a dire il vero), come nel primo brano citato (precisamente nello stesso stacco di chitarra che precede l’accelerazione), si “riduce” la lunghezza di un riff (attenzione, ciò avviene soltanto una volta), storpiandolo quasi impercettibilmente.

E adesso andiamo a sviscerare il basso, il cui lavoro mi pare decisamente più fondamentale nel progetto di Howling in the Fog, anche per via della sua presenza in tutte le canzoni della nuova opera, cosa che invece non succede completamente nel finora unico demo di Dark Paranoia. Ed inoltre mi sembra un poco più autonomo e libero rispetto alle chitarre, e da questo punto di vista gli esempi da fare non sono pochissimi, prescindendo sempre dalla cover e stavolta per un altro motivo che spiegherò più tardi, ma comunque devo far notare subito una cosa: se per quanto riguarda i tempi più lenti tale strumento ha una voce in capitolo molto importante nella stessa costruzione dei motivi (segnalo a tal proposito il minaccioso minimalismo contrassegnato da brevi e rapide variazioni che completano il riff portante di “Forget My Life”, oppure l’ottima prestazione di “Last Days” in cui fra l’altro il basso riesce a dare secondo me un tocco più greve e monolitico suonando talvolta anche una stessa nota esulando così dall’arpeggio dell’ascia), in quelli veloci le note suonate sono se non sbaglio le stesse delle chitarre (e non ditemi che è superfluo farlo osservare perché in gruppi come i Sacradis il bassista sa essere abbastanza “virtuoso” anche durante i blast-beats più fulminei), anche se può succedere che sia vincolato inoltre dalla batteria, magari regalando all’insieme un pulsare pieno di groove sposandosi quindi benissimo con quest’ultima (e qua sentitevi sempre “Forget My Life”). Insomma, Der Antikrist Seelen Mord ha rifiutato per la seconda volta di relegare il basso ad una semplice funzione ritmica, cercando quindi di apportare delle opportune variazioni musicali rendendo in tal modo più ricca e pesante tutta l’atmosfera. Ma rispetto alla moltitudine dei progetti di black depressivo, in Howling in the Fog esso viene utilizzato perfino negli stacchi, e ciò avviene sia, quasi impercettibilmente, in “Forget My Life” che nella successiva “Drained from Suicidal Thoughts”, eppure qui ho intravisto una ripetitività di fondo, dato che in entrambi i casi lo stacco, sempre fatto insieme alla batteria, è quasi identico, con l’unica differenza vera che il secondo mi pare la perfetta evoluzione dell’altro. Altro difetto, seppur anch’esso non così grave visto il talento compositivo del nostro nordista, è l’uso che se ne fa di questi stacchi, in quanto precedono in maniera simile l’accelerazione del pezzo, introdotta a sua volta dalla chitarra. Va bene che basso e batteria funzionano ottimamente e sono in grado di valorizzare appieno (soprattutto, per via delle note finali del primo, in “Drained from Suicidal Thoughts”) quello che poi verrà (anche grazie alla botta preparatoria del crash delle percussioni), ma talvolta le idee nonostante tutto sembrano mancare. Ritornando invece alle qualità, devo fare ancora una volta un plauso al giusto bilanciamento del basso con tutti gli altri strumenti, risultando così ulteriormente funzionale per la stessa atmosfera della musica proposta, aumentandone in tal modo il marciume ed il senso di disgusto.

Che dire della batteria? Prima di tutto, secondo me ha un suono eccellente, mi pare sul serio che dietro ci sia un batterista in carne ed ossa, un suono piuttosto pesante (anche per quanto riguarda i piatti), seppur debba segnalare una piccola anomalia (almeno così è per i miei gusti), la quale rende il discorso della batteria un po’ plastico e che quindi non credo s’intoni perfettamente con tutta la musica, solo che non so da dove derivi, sembra la cassa ma non ne sono poi così sicuro tanto è greve a tratti quest’ultima. Comunque, Der Antikrist Seelen Mord non solo si è dimostrato capace ancora una volta di rendere credibile e “viva” la drum, ma anche di aver saputo creare un andamento ritmico che se non sbaglio è più vario di quello presente nel demo dell’altra propria creatura. Ovviamente, i tempi lenti derivati dal doom più catacombale e scarnificante hanno la meglio su tutto il resto, prediligendo così un approccio alla materia che non concede nulla al groove (tranne in certi momenti, conditi talvolta da semplici uno-due, di “Drained from Suicidal Thoughts”), “dinoccolandosi” in tal modo meravigliosamente attraverso un’agonia che pare non finire mai. Eppure nonostante tutto qualche variazione ad uno stesso pattern che dinamicizzi e magari valorizzi maggiormente l’intero insieme c’è, come i dolorosi piatti della stessa canzone appena citata, mentre in altre volte si varia con dei classici tom-tom, i quali peraltro se non erro vengono utilizzati per un vero e proprio ritmo nell’assurda e psicotica “Last Days”, creando in questa occasione un’atmosfera (ma sì dai!) semi-tribale, come se si stesse celebrando il suicidio quale un puro e crudo rituale, inquietante ma nobile (?) allo stesso tempo. I tempi sono sempre e comunque abbastanza lineari, eppure son di solito più contorti ed imprevedibili (non nel senso delle variazioni, che stavolta sono completamente assenti) durante i tempi veloci, dove pare che la rabbia prenda il sopravvento. Ed ascoltando questa specie di tupa-tupa che non vogliono avere neanche una parvenza di blast-beats, la mia mente ritorna ogni volta a certe cose dello statunitense Draugar od a….Il Banco della Nebbia, ossia molto modestamente il mio solo-progetto black metal. Tempi che procedono paurosamente immobili nel loro assalto, aggiungendo magari bruscamente qualche colpo più rapido sul rullante (“Forget My Life” e “Last Days”), oppure proponendo anche certe improvvise ed inaspettate svisate sui tom-tom (“Last Days”), od ancora mantenendosi sempre costante nel tempo senza offrire altri spunti un pochino più dinamici (“Drained from Suicidal Thoughts”), come succede spessissimo nell’ultima realtà sopraccitata. E per me funziona alla grande. Tale novità la trovo legata totalmente e perfettamente funzionale alle tematiche ed alla musica proposti, in quanto con i blast-beats si perderebbe a mio avviso quella potenza devastante data dal rullante che pare un durissimo, saettante e continuo colpo inferto alla mente da un mondo cieco e senza scrupoli, guadagnando invece in velocità selvaggia, cosa che sarebbe controproducente in Howling in the Fog anche perché qui, durante i tempi veloci, la rabbia non mi sembra totale, imprigionata com’è nella ineluttabile disperazione di un universo malato e complesso che non cambierà mai.

5. “FORGET MY LIFE”.

E finalmente ho l’occasione di trattare, dopo l’intro, più specificatamente la rassegnata “Forget My Life”, e non soltanto per spiegare il brillante senso strategico di Der Antikrist Seelen Mord, ma anche per parlare della struttura del pezzo, la quale offre spunti che definirei piuttosto personali e per niente scontati e/o banali, inquadrandosi altresì perfettamente con tutto il resto.
Per quanto riguarda il primo argomento mi sembra pressoché perfetto l’utilizzo della chitarra solista, visto che, come ho osservato qualche pagina fa, la sua presenza inizialmente risulta quasi completamente seppellita da tutti gli strumenti eppure, dalla ripresa della prima soluzione modificata in poi, il suo suono viene alzato sempre di più fino a diventare particolarmente acuto e frastornante, e proprio quasi nel finale. La tensione sale ed il tormento della vita diventa a mano a mano più assurdo ed insistente. La chiusura del pezzo è affidata in pratica a delle pennellate dilatate di chitarra, che sostanzialmente ricalcano il riff originario della canzone, e bisogna dire inoltre che esse vengono accompagnate prima dallo stesso ritmo di batteria del primo passaggio, per poi offrire dei puntuali e tipici crash, ed infine si elimina totalmente, presagendo il Vuoto, l’apporto sia della batteria che del basso, finendo così dopo pochissimi secondi il discorso attraverso una dolorosa nota alta, distruttiva come l’urlo silenzioso che squarcia continuamente la mente dell’individuo. E attenzione che nei momenti finali quella chitarra solista c’è sempre, la quale si dimostra utile ad aggiungere un ulteriore alone di pazzia tremendamente perfetto.
Ovviamente, parlando del secondo punto il legame con il primo mi pare naturale, ma andando più a fondo ho notato che lo schema-tipo delle canzoni di Howling in the Fog, di cui proprio “Forget My Life” ne rappresenta secondo me il prototipo, è molto simile a quello di Dark Paranoia, dato che tra gli altri viene offerta una buona importanza alla prima soluzione adottata, la quale prima o poi ritorna a far sentire il suo peso sull’ascoltatore. Più o meno la struttura di “Forget My Life” è la seguente: introduzione di chitarra – pausa – apertura di tom-tom – 1 – stacco di chitarra – 2 – stacco di chitarra+stacco di batteria – chiusura di chitarra. Ed è proprio vero, si riconferma a mio parere la parentela strettissima fra i due progetti! Gli stacchi e le pause infatti si presentano con una buona frequenza anche in Dark Paranoia, ma stavolta penso che essi vengano utilizzati con una notevole efficacia, anche se sarebbe decisamente interessante verificare come se la cavi il nostro usandoli pochissimo perché mi pare che dagli stacchi dipenda ancora un po’ troppo, così da trattare la propria musica come se fosse black/thrash metal (un esempio come tanti). Ci sono però altri due aspetti degni di nota della struttura-tipo di Howling in the Fog, cioè il numero delle battute ed un certo senso di caos che qui e là si respira, seppur in questo pezzo ci sia solo un assaggio di quello che poi si ascolterà dopo, almeno per quest’ultima caratteristica menzionata. Infatti, prima di tutto, in tale demo non vengono utilizzate spesso le classiche 2, 4 od 8 battute per soluzione, anche se ho ravvisato una cosa piuttosto curiosa: durante i tempi più lenti, esse sono effettivamente non convenzionali dato che per esempio in “Forget My Life” il 1° passaggio + relativa modificazione con la chitarra solista sono interessati rispettivamente da 3 e 5 battute (che comunque nel complesso fanno 8), per poi offrirne cammin facendo nel demo alcune tra le più improbabili che io abbia mai beccato, e qua il paragone proprio con Il Banco della Nebbia mi sembra assai azzeccato (almeno per certe cose); nei tempi veloci invece il tutto diventa più ordinato, ed è incredibile notare come tutte le accelerazioni del disco rispettino un numero di battute tremendamente classico (precisamente in questa canzone è di 2 + 2) di cui sopra. A tal proposito, credo che si potrebbe dare lo stesso significato che ho dato allo stesso riffing qualche pagina addietro, e così pure quest’aspetto mi risulta perfettamente coerente con tutto l’insieme. Legato profondamente alla struttura-tipo scelta da Der Antikrist Seelen Mord è invece a mio parere un certo caos che aleggia nella musica del nostro, ed in pratica me lo fa sentire subito, partendo da “Forget My Life” appunto. Sì, perché in teoria la prima soluzione modificata se non sbaglio dovrebbe avere anche una sesta battuta, ma si è preferito al contrario dilatare per un po’ lo scarnissimo riff, ed in tal modo, in mezzo a questo “rumore”, “duettano” per pochi millisecondi il basso e la batteria, presagendo così secondo me perfettamente la successiva accelerazione. Inoltre l’ultima osservazione va fatta per il ricorso piuttosto frequente alla modificazione, sia ritmica che di riffing, dei differenti passaggi, i quali in “Forget My Life” vengono tutti variati, come a simboleggiare idealmente un dolore che si ripete tramite varie forme, cosa che comunque verrà un po’ ridimensionata nel corso dell’opera, almeno per quanto concerne i brani inediti.

6. “DRAINED FROM SUICIDAL THOUGHTS”.
La successiva “Drained from Suicidal Thoughts” non è soltanto la canzone che dà il titolo al demo, ma è pure quella più lunga del lotto, visto che è un tormento di poco più di 8 minuti, mossa che considero decisamente apprezzabile soprattutto considerando che il brano precedente pare fungere un po’ da “assaggio”, visto che quest’ultimo è lungo poco meno di 5 minuti. E secondo me, nonostante questa grande differenza di minutaggio, i due pezzi risultano importanti dal punto di vista strategico anche per un altro motivo: infatti, se non erro strutturalmente ed in un certo senso pure musicalmente parlando essi alle volte sono non poco simili, cosa forse voluta, anche se tra i due l’atmosfera generale mi pare comunque diversissima. Dico questo perché in “Forget My Life” ho ravvisato specialmente disperazione con una buona dose di melodia, mentre “Drained from Suicidal Thoughts” ha un alone probabilmente più cinico date inoltre la sua maggiore complessità e le disturbate dissonanze in fatto di riffing, ma entrambe sembrano presentare il legame sopraddetto, vuoi per l’evoluzione già trattata dello stacco basso-batteria, vuoi per l’immediatamente successivo stacco di chitarra rinforzato per brevissimi interventi dagli altri strumenti, e vuoi per il ritorno dopo l’accelerazione del tema principale (a dir la verità qui i temi più importanti sono due). Questa è una continuità che mi pare un po’ rappresentare il cammino spirituale dell’individuo che prima discorre solo in superficie sulla sua “malattia”, per poi trattare la sua materia con maggior enfasi intellettuale, ponendo l’accento sulle profondità del cosmo. E guarda caso penso che è proprio ciò che avvenga, anche perché dopo il ritorno sopraccitato fa capolino una chitarra acustica dalle tinte assurdamente psichedeliche e che possono rimandare in effetti agli abissi allo stesso tempo magnifici ed inquietanti dello spazio. Fra l’altro, tale passaggio viene giostrato a mio avviso in un modo che definire magniloquente è un crudele eufemismo, visto che, precedendo quello che considero come il vero climax del pezzo, la “pausa psichedelica” procede in maniera decisamente lenta e ragionata, così da proporre dopo il semplice “duetto” chitarra + voce la lentezza della batteria ed un basso che ha preso il via mostrando un’inventiva micidiale. Il colpo di grazia viene secondo me dato efficacemente dalla voce, che riesce a legare la soluzione con chitarra acustica con la sua relativa modificazione elettrica, la cui tortura non finisce realmente mai, visto che il volume della musica viene lentamente inghiottito, con l’individuo (la voce) che tenta di liberarsi dal buco nero ma dopo un po’ gli mancano completamente le forze, e fra l’altro non bisogna dimenticare che anche qui, soprattutto nel secondo tema principale, viene fuori un’altra volta quell’istinto al caos che stavolta può presentarsi addirittura non nella sua fine ma quasi nell’inizio del passaggio.
Comunque, eccovi più o meno la struttura di “Drained from Suicidal Thoughts”, facendovi ricordare che pure qui vale lo stesso discorso che ho fatto nel precedente paragrafo circa il discorso, piuttosto complesso e praticamente libero, delle battute: introduzione di chitarra – 1 – 2 – 2 mod. – stacco di batteria e basso – stacco di chitarra – 3 – 3 mod. – stacco di chitarra – 1 – 2 mod. – stacco di chitarra acustica + voce – 4 – 4 mod.. Si osservi specialmente il ritorno dei due temi principali, ritorno che presenta una leggera anomalia, se così si può chiamare: dov’è finito il 2? È stato in sostanza tolto dal discorso, cosa che forse può essere spiegata se si rimanda il tutto alla già trattata “illuminazione oscura” dell’individuo, alla sua maggiore consapevolezza nei confronti del Male principe del mondo (la vita stessa), e così si “velocizza” (ma solo implicitamente, come si dovrebbe capire già dalle virgolette) il cammino musicale, anche perché le battute nella seconda apparizione del 2 mod. sono se non sbaglio 10 in luogo (sempre se non sbaglio) delle precedenti (ed asfissianti) 13. Inoltre, tale consapevolezza dolorosa penso venga ulteriormente amplificata contando pure quello che molto probabilmente è un errore di produzione (infatti, qui tutto è come se saltasse via abbassandosi fragorosamente di volume…a parte la drum-machine. Esso si presenterà anche nei successivi capitoli dell’opera) il quale teoricamente dovrebbe essere un difetto perché spezzetta l’intero insieme con dei cali notevoli di suono, ma che a mio parere si mostra totalmente coerente con tutto quanto perché riesce secondo me a trasmettere sul serio l’idea di un mondo e di un’umanità che cadono a pezzi.

7. “DEPRESSIVE PATHS THROUGH FULLMOON FORESTS”.
Passiamo ora alla stupenda e spaventosa cover del gruppo tedesco degli Sterbend, cioè “Depressive Paths Through Fullmoon Forests”, più precisamente della versione contenuta nell’album “Dwelling Lifeless” datato 2006 e pubblicato dalla leggendaria No Colours Records.. Curiosamente il rifacimento è stato messo come quarta traccia, e non tradizionalmente come ultima, e questa probabilmente risponde ad una necessità per così dire concettuale, in quanto ciò che in tale brano si respira a mio avviso segue alla perfezione una strategia emozionale piuttosto rara da beccare in circolazione. Sì, perché se “Drained from Suicidal Thougths” è il punto di svolta in cui ci si rende consapevoli della vera assurdità dell’esistenza, “Depressive Paths Through Fullmoon Forests”, che tra l’altro è in un certo senso legata alla precedente anche per quanto riguarda il minutaggio dato che il suo tormento dura poco più di 7 minuti, può rappresentare la più completa disperazione e rassegnazione nei confronti di tutto questo male, una specie di sfogo al contrario che può sembrare quasi un testamento perché all’orizzonte non si delinea neanche una sola via di scampo possibile oltre al suicidio, rituale estremo della malinconia. Ma oltre a questo, tale capitolo presenta un’enormità di notevoli punti d’interesse di estrazione più musicale. Infatti, come l’originale, la voce qui viene usata quale un vero e proprio lamento attraverso delle linee vocali sostanzialmente assenti, cosa a mio parere completamente azzeccata visto che in tal modo secondo me si conferisce un concreto alone di impotenza dell’individuo nei riguardi della vita e degli eventi ad essa correlati e, nonostante questa sfida non così convenzionale per i canoni di Der Antikrist Seelen Mord (anche se bisogna segnalare che il demo di Dark Paranoia finisce in effetti con una strumentale), il nostro tira fuori una prestazione colossale e molto dolorosa, urlando pochissimo (se non erro, qua vengono proferite pochissime parole) ma con un’intensità terribile;
il secondo punto d’interesse è dato sicuramente dalla chitarra, così lontana dalle sonorità del nostro giovane artista, visto che nella cover non viene proposto nessun arpeggio e nemmeno nessuna dissonanza, e tra l’altro il lavoro dell’ascia è di un minimalismo terrificante. C’è solo una singola straziante melodia la quale viene variata più volte, usando talvolta anche la chitarra solista che in pratica solo negli ultimi secondi si lascia andare ad un’altra melodia sempre molto triste ed angosciante, ma il cui riff dura decisamente di più dell’originale prolungando in tal modo tutto il dolore. Comunque, il riffing principe alle volte si fa dai toni più monumentali, e ciò soprattutto quando la batteria si fa più veloce, oppure diventa dal taglio persino piacevolmente molto grooveggiante, aggiungendo così un tocco di “ballabilità” come se in effetti si stesse celebrando il suicidio mentre in altre occasioni si fa delicato e pennellato;
il ruolo del basso in questo brano risulta molto particolare per Der Antikrist Seelen Mord, e questo perché, come ho già cercato di dire implicitamente nel paragrafo apposito, se non erro è completamente vincolato dalla melodia della chitarra, ergo stavolta non vengono proposte delle vere e proprie trame aggiuntive che arricchiscano il discorso. Inoltre, mi pare significativo anche il fatto che il basso sia stato in questa canzone un poco seppellito dal resto degli strumenti, in quanto in caso contrario sarebbe stata immessa, con il suo suono greve e senza pietà, una componente “cattivona” e malvagia, ed invece si è preferito risaltare di più il suono zanzaroso e frastornante del settore chitarre;
pure la batteria presenta qualche caratteristica anomala (ma poi neanche così tanto) in quanto alle volte sputa ritmi grooveggianti, cosa rarissima da sentire sia in Dark Paranoia che in Howling in the Fog, e non bisogna dimenticare che è proprio in tal pezzo che la drum raggiunge per la prima volta velocità quasi ai limiti dei blast-beats. Altri aspetti interessanti sono l’uso di tempi un po’ meno lenti del solito ed anche l’utilizzo di variazioni fisse, almeno per alcuni patterns e comunque sempre consistenti in giochi a due mani sul rullante e poi sui tom-tom sulla fine di un passaggio;
e come ultima tocca alla struttura che si allontana decisamente da quella di “Forget My Life” ma riprende in un certo senso, semplicemente perché si stacca dal prototipo di quella di quest’ultima, il discorso di “Drained from Suicidal Thoughts”, che dopo un po’ prende il largo vomitando uno schema tutto suo. E quello costituente “Depressive Paths Through Fullmoon Forests” è il seguente: introduzione di chitarra – 1 – 1 mod. – 1 – 1 anc. Mod. – stacco lungo di chitarra – 1 – 1 mod. – 1 – 1 anc. Mod.2 – 1 (dopo 4 battute anche con chitarra solista). Qui mi sembra doveroso di segnalare che l’1 anc. Mod.2 è in sostanza la variazione ritmica di 1 mod. (che sarebbe il passaggio quasi blasteggiante), preferendo quindi un approccio dal tempo medio-lento. C’è poi un fatto a me curioso: nonostante la ripetitività estrema della melodia, l’impianto strutturale come si vede non è esattamente monotono e freddo come può esserlo benissimo quello degli ultimi Lilyum, ma si salta qualcosa ed alle volte si varia uno stesso, chiamiamolo così, sotto-passaggio, eppure sia nella prima che nella seconda parte il riffing presenta una vera e propria soluzione + 3 variazioni, a cui si aggiunge prima lo stacco e poi il vero secondo riff dato dalla chitarra solista, e quindi in un certo senso si può dire che la struttura fondamentalmente non sia proprio immobile, come invece lo sono le battute, le quali sono sempre e comunque pari, oscillanti quindi tra le 2, 4, 6 ed 8 battute, come se tale testamento portasse realmente all’ordine, alla pace (ossia all’auto-annichilimento)) dei sensi, cosa anche questa anomala per Howling in the Fog.
Insomma, la sfida secondo me è stata largamente vinta ma, sorpresa!, la cover non è poi così tanto fedele all’originale, e non parlo ovviamente delle differenze di produzione e del tipo di voce (sarebbe troppo facile), ma per esempio dell’impianto ritmico (decisamente più vario e movimentato – grazie al picchio mi verrebbe da dire! – nella versione degli Sterbend) dello stacco di chitarra originariamente più lungo, lento ed un pochino perfino arpeggiato, della struttura e dei tempi (infatti, in verità l’1 anc. mod.2 non ci dovrebbe essere) e della chitarra solista, in origine se non erro completamente assente, ma così facendo Der Antikrist Seelen Mord non ha solo portato avanti una propria rivisitazione personale ma ha anche immesso il proprio marchio, così da rendere a mio avviso più marcia e pesante la stessa canzone.

8. “LAST DAYS”.
Questo assurdo viaggio sta per finire, ergo è l’ora del brano che indubbiamente considero come il migliore del lotto, e ciò per vari motivi che naturalmente spiegherò.
“Last Days” si conferma a mio parere come fin troppa degna continuazione di “Depressive Paths Through Fullmoon Forests”, e quel “fin troppa” sta a significare che qui Der Antikrist Seelen Mord probabilmente si è superato in tutto. Infatti, l’ultima canzone si può dire che sia la più folle e nera di tutte, dati specialmente quegli stacchi di chitarra brevissimi e dolorosi, gli insoliti arpeggi veloci profusi da una chitarra impazzita, eppure nonostante tutto il nostro ha preferito scegliere per una batteria dai ritmi sì lenti ma che comunque variano un po’ più del solito. Per non parlare dell’andamento stesso del discorso, il quale si “perde” attraverso delle variazioni imprevedibili che hanno del pauroso, facendomi secondo me in effetti presagire un finale particolarissimo e letteralmente senza fine. C’è anche, come già osservato ormai molte pagine addietro, una chitarra acustica, che non solo apre e “finisce” minacciosamente lo stesso brano, ma credo si dimostri utile pure a far veramente male all’ascoltatore, e questo perché riesce a fungere da perfetto contrasto disturbante con il “rumore” vomitato brillantemente fuori nel resto del brano, momenti non poi così tanto brevi che rappresentano una specie di (apparente) quiete nella tempesta che quasi nella fine vengono manipolati con un effetto d’eco capace di aumentare lentamente la tensione preannunciando un climax pazzesco e contorto. Ma la chitarra se ne va gradualmente, il volume s’abbassa sempre di più e quindi sembra che tutto sia finito…ma come un fulmine saettato con una velocità assordante nelle orecchie del “malcapitato” ascoltatore, ecco un black metal velocissimo e malato e dal ritmo non poco complesso ed interessante. Però pure questo è solo un momento imprendibile ed infinito, visto che anche qui il volume s’abbassa lentamente. Ritorna la chitarra acustica, che con le sue note delicate eppur piene di negatività beffarda funge da monito all’umanità, è come se essa dicesse che l’esistenza è colma di dolori che spesso e volentieri si crogiolano, magari senza che noi lo volessimo veramente, nella nostra stessa mente, e penso che possa essere intesa pure come una presa di posizione contro quelle persone che giustificano il dolore come un passo essenziale verso la felicità, la quale ben presto viene totalmente debellata, figlia dell’illusione. Ed infatti il Male della vita, simboleggiato a mio parere ottimamente dal finale, ritornerà sempre e comunque, e nel passare dei secoli e delle ere non conoscerà mai fine se non con la venuta del Nulla, della Pace Eterna proprio perché non si condanneranno altri esseri viventi alla più terribile esperienza possibile (non a caso, qui e là nei testi il nostro parla anche di genocidio).
Queste sono le mie impressioni (ancor non finite di raccontare a dire il vero) su “Last Days”, puro episodio delirante che sembra veramente mettere in pratica il testamento disperato della cover degli Sterbend. Pare (almeno a me com’è ovvio) che qui l’individuo non ci veda più, non abbia più il lume della ragione, si agiti come un forsennato scegliendo la morte più atroce in modo da profanare nel peggior modo la falsa bellezza di una natura spietata e senza scrupoli, rea di averlo immesso al mondo. “Last Days” può trasmettere infatti nervosismo, e tale caratteristica emozionale del pezzo l’ho ravvisata anche nell’utilizzo delle battute, le quali pure loro denotano una non poi così sottile estremizzazione del tipico suono di Howling in the Fog, dato che stavolta ogni passaggio presenta un numero di battute più basso e precisamente più accessibile del solito (il minimo è di una e mezza, il massimo, a parte i passaggi che vanno all’infinito, di 5), non dimenticando però mai quella magnifica propensione all’istinto più bestiale che finora ha caratterizzato il demo. Non ci sono altre parole per descrivere il brano che secondo me completa il tutto e conferma per l’ennesima volta la natura a concetto (come minimo musicale) di questo bellissimo “Drained from Suicidal Thoughts”, e sinceramente mi sembra esagerato riportare in toto la struttura formale di “Last Days” tanto mi sono espresso. Ma lasciatemi dare un consiglio: questo pezzo vanta a mio avviso degli spunti veramente personali che si staccano molto dal progetto di Der Antikrist Seelen Mord, ergo sarebbe interessante scrivere i successivi pezzi basandosi su di esso, anche perché un delirio così ben congegnato non l’ho mai beccato prima nel black depressivo, genere che divoro tantissimo.

9. CONCLUSIONI.

Siamo alla fine, ragazze e ragazzi, e quindi bisogna fare gli ultimi accorgimenti, primo fra i quali vi è la scelta di quello che considero il principale punto di forza del progetto in questo demo, che per me è senza ombra di dubbio il talento strategico con cui cono state messe consequenzialmente le varie canzoni, così da non mostrare soltanto una buonissima varietà e fantasia ma anche di conseguenza un istintivo rigore logico-matematico in modo da creare un percorso emozionale sempre coerente cammin facendo. L’altro accorgimento è l’osservazione di un difetto (che si assomma a quello strano suono “plastico” della batteria proveniente da chissà cosa, alle ripetizioni talvolta persino identiche di alcuni stacchi e la mancanza di una vera e propria personalizzazione di Howling in the Fog da Dark Paranoia) che riguarda il brano “Drained from Suicidal Thoughts”: qui non m’è piaciuto il ritorno del tema, o meglio non m’è garbato come sia tornato. Infatti, la chitarra si rifà sentire in maniera pressoché uguale all’introduzione, ossia il suo arpeggio viene alzato gradatamente di volume, ma così facendo secondo me si è persa di vista l’intensità del pezzo, il suo taglio assassino e credo si potesse far ritornare offrendo per esempio un breve stacco di batteria o qualcosa del genere. Difetto comunque molto soprassedibile dato che non inficia poi così tanto sulla bellezza intrinseca dell’opera. In fin dei conti, Der Antkrist Seelen Mord ha compiuto a parer mio degli enormi progressi, e li ha fatti addirittura sporcando di molto la produzione, così da sentire persino gli alienanti disturbi sulla voce, completamente azzeccati (poi per uno che adotta per i propri dischi una produzione simile mi sembra quasi scontato dirlo). Per non dimenticare della personalità che ogni volta tira fuori, e stavolta il capolavoro l’ha fatto veramente, ergo non vedo l’ora dell’uscita dell’album, che mi aspetto decisamente migliore di tale ottimo assaggio.

Voto: 84

Claustrofobia

Tracklist:

1 – Intro/ 2 – Forget My Life/ 3 – Drained from Suicidal Thoughts/ 4 . Depressive Paths Through Fullmoon Forests/ 5 – Last Days

MySpace:

http://www.myspace.com/howlinginthefog

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